Fondation Grand Paradis (Villaggio minatori, Cogne) - 17/26 settembre 2010
Non si fa in tempo ad aver paura è una trilogia realizzata da Luca Andreoni (visita il suo sito) fra il 2005 e il 2009, composta dalle serie Tunnel (2005-2006), Orridi (2007) e Crepacci (2009). Il lavoro prende il titolo da una poesia di Gianni Rodari e si sviluppa in una struttura che rimanda alla Commedia dantesca, seppure qui la successione di inferno, purgatorio e paradiso non corrisponda a un’ascesa, ma tutto si svolge nelle profondità del pianeta e delle sue montagne, nei suoi antri più bui, che siano naturali o artificiali, circondati di roccia oppure di ghiaccio. Qui, sul fondo del visibile, si svolge un poema scandito da dettagli minimi, sfumature di colore, riferimenti simbolici, attraverso un lento passaggio narrativo e visivo che finisce per affermarsi come il nodo centrale dell’intera opera, perché ogni cosa, pure ogni cosa fotografata, cambia e si trasforma incessantemente.
Il viaggio ha inizio con gli spazi costruiti dei tunnel stradali. Le fotografie della serie Tunnel offrono l’insolita possibilità di osservare con uno sguardo prolungato e contemplativo luoghi che al contrario costituiscono normalmente il contesto di veloci attraversamenti automobilistici. Così, attraverso un radicale mutamento della fruizione di queste gigantesche cavità artificiali, cambia la nostra percezione: i colori saturi dei neon e le forme sinuose delle gallerie danno vita a scenari infernali, scavati dentro la superficie della terra o nascosti nei più remoti recessi della nostra mente.
La serie Orridi, seconda sosta di questo percorso, testimonia il tormento di millenni di erosione inflitti alla roccia dall'incessante scorrere dell'acqua. L'etimologia stessa della parola del titolo, che deriva dal latino horridus e significa orribile, orrendo, spaventoso, selvaggio, rimanda allo sgomento che soltanto la natura, nella sua grandezza originaria, è in grado di trasmettere. Eppure l’uomo, nella sua incessante ossessione per il controllo e la conquista, è riuscito a domare anche questi abissi, fino a renderli facilmente praticabili. I ponti, le passerelle, le scalette di ferro divengono così metafora dell’umano tentativo di superare i propri limiti ed esorcizzare la propria paura.
Ultima tappa di questo lento viaggio nel profondo, le fotografie della serie Crepacci sono il frutto di un lungo lavoro sulle pendici del Monte Bianco. Il ghiaccio, soggetto unico delle immagini, sembra aprirsi di fronte al nostro sguardo e allo stesso tempo inghiottire fotografo e spettatore nel ventre di una materia dura e fredda, ma allo stesso tempo sensuale. La sua superficie è in continua trasformazione, prima trasparente, poi opaca e viceversa, e assume con la densità sfumature di azzurro e di blu, fino a riempirsi di nero nei punti più profondi o accendersi di un bianco accecante negli spiragli aperti verso l’alto. Come osserva Amelia Valtolina in Blu e Poesia, il blu è il “colore dell’unio mentalis alchemica, della congiunzione tra logos e psyché”. Nel blu sono compresi il nero del dolore e il bianco del pensiero puro. Allo stesso modo, di fronte a queste fotografie, il terrore che i crepacci suscitano per natura coesiste con il fascino esercitato da tanta grandiosa bellezza.
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