ALP_AGE è un progetto di fotografie e video di Luigi Gariglio, realizzato su incarico del Mountain Photo Festival di Aosta in collaborazione con Contrasto. Curato da Francesco Zanot, il lavoro è esposto presso il Centro Espositivo di Etroubles dal 18 al 26 settembre. ALP_AGE è una complessa esplorazione visiva che prende avvio da una riflessione sul territorio montano e sulla comunità della Valle d’Aosta, sviluppandosi in direzioni ulteriori e molteplici. ALP_AGE non è un percorso concluso, ma al contrario, iniziato lo scorso luglio dopo alcune indagini preliminari, si trova attualmente in una fase di precisazione, crescita e approfondimento.
La mostra presentata al centro espositivo di Etroubles include tre dittici di grandi dimensioni raffiguranti il paesaggio valdostano percorso dalle mandrie salite dagli alpeggi, due filmati e circa sessanta immagini di famiglia sparse a parete in stampe di piccolo formato realizzate presso un laboratorio non professionale allo scopo di mimare le tipiche modalità di produzione di questa tipologia di materiale.
Nell’allestimento, le fotografie di famiglia riferite al gruppo di persone incontrato sugli alpeggi sono mescolate fra loro e con le immagini familiari dello stesso Luigi Gariglio, riproducendo a parete la condizione di vicinanza e condivisione, realizzatasi per una parte di questo progetto fra il fotografo, divenuto osservatore partecipante, e i propri soggetti. Il pavimento della sala espositiva è coperto con uno strato di fieno, il cui odore introduce un ulteriore elemento sensoriale per l’immersione del pubblico nel contesto rappresentato. Questo intervento installativo, che si configura peraltro come un omaggio alla pratica artistica di Giuseppe Penone, fa sì che lo stesso respiro dello spettatore faccia parte della sua esperienza di quest’opera. Ad introduzione della mostra è posto un pannello di cui si riporta a seguire il testo integrale.
FZ: Ciao Luigi. Scusami se ti disturbo a quest’ora.
LG: Ciao. Dimmi.
FZ: Dobbiamo mettere insieme un testo per il pannello introduttivo della mostra, con le principali informazioni riguardo questo lavoro e una serie di indicazioni che possano essere utili agli spettatori per la visita dell’esposizione.
LG: Va bene.
FZ: Innanzitutto farei presente il fatto che si tratta di un lavoro “in progress”, dell’inizio di una ricerca più ampia che si deve ulteriormente sviluppare. Diciamo che è un progetto che deve approfondirsi e proseguire. Poi mettiamo a fuoco il punto di partenza di questo incarico: gli alpeggi della Valle d’Aosta. Scriviamo che tutto ha avuto inizio dall’interesse nei confronti della particolare situazione attuale per cui i lavoratori stagionali che vengono impiegati negli alpeggi durante l’estate non sono più in gran parte locali, ma provengono dall’estero, soprattutto dal Nord Africa e dall’Europa dell’Est. Dico bene?
LG: E’ vero. Però, come dici tu, questo è stato soltanto lo stimolo che ha dato avvio al progetto, mentre poi mi sono concentrato su molto altro. Non si tratta di un lavoro di ricerca scientifica. Naturalmente ci sono spunti di carattere sociologico, antropologico, anche politico, ma i risultati vanno in un’altra direzione. Il risultato è un lavoro molto personale.
FZ: Riguardo lo specifico del lavoro, la sua struttura, direi innanzitutto che si sviluppa secondo due direttrici. Da una parte ci sono le fotografie e i video centrati sulla rappresentazione del territorio, attraversato dai pascoli in lontananza, dall’altra c’è una raccolta di fotografie di famiglia, in parte tue e in parte selezionate fra quelle degli stessi proprietari e lavoratori degli alpeggi, attraverso le quali emergono fra l’altro alcuni elementi delle tradizioni locali. Dico tutto questo per semplicità, perché in realtà a me non sembra che ci sia una divisione netta fra queste due parti in cui è organizzato il lavoro. Non credi?A me sembra che questo lavoro funzioni nel suo insieme, come agglomerato di stimoli differenti e complementari, come accumulazione di suggestioni e informazioni…
LG: Sì, poi un aspetto importante da specificare è che, nel caso del repertorio per così dire familiare, si tratta di immagini da me rifotografate. Sono fotografie di fotografie. In questo senso spesso ho tagliato, reinquadrandole, le immagini originali, i formati non sono quelli delle stampe di partenza, e così via. Ci sono una serie di interventi, di variazioni, di interpretazioni che ho esercitato sulle fotografie che ho trovato o mi sono state proposte. Si tratta di vere e proprie rielaborazioni. Fondamentale è anche un ulteriore aspetto cui hai fatto cenno: il folclore, vale a dire le attività tipiche della vita negli alpeggi, emergono direttamente dai materiali d’archivio. E’ una sorta di reportage autoctono, autoprodotto e preesistente.
FZ: Fra l’altro, il fatto che tu abbia messo insieme le fotografie della tua famiglia con quelle appartenenti ai residenti temporanei o permanenti di questi luoghi, riproduce un senso di totale condivisione con la gente del contesto su cui hai lavorato. In fondo, tu sei soltanto un fotografo fra i tanti fotografi “anonimi” che hanno ripreso ciascuna singola immagine.
LG: E’ un aspetto di cui ho molto discusso con le stesse persone che ho incontrato sugli alpeggi e che hanno contribuito a questo progetto portandomi le fotografie delle proprie famiglie. Chiedevo ad ognuno di loro se fossero d’accordo sul fatto che anch’io introducessi le mie immagini domestiche nella sequenza finale. In fondo dovevamo condividere uno spazio di confidenza. Era come se si stessero spogliando di fronte a me, mostrandomi alcuni frammenti della loro storia, anche se naturalmente mi hanno dato accesso soltanto a una parte limitata di questo immaginario, frutto di una preselezione che era avvenuta lontano da me. D’altra parte, è quello che ho fatto anch’io…
LG: (il giorno dopo via e-mail in risposta al testo proposto) … Aggiungerei, toglierei e rielaborerei diverse parti di quelle che sono state le mie risposte. Il carattere schietto e diretto di questa tua “intercettazione telefonica” del nostro colloquio, che credevo fosse solo una semplice telefonata del curatore, ha però un tono molto privato, forse intimo, che mi affascina e mi pare adeguato. Malgrado tutto, quindi, accetto di buon grado la tua proposta di utilizzare questa trascrizione come introduzione alla mostra, chiedendoti solo di inserire nel testo anche questa mia nota. Grazie. Luigi