e voi?
Foto scattata con la Nikon D5000
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Nel lavoro di Francesca Catastini l'apparente rappresentazione romantica del paesaggio viene turbata da un intervento digitale tanto sottile quanto ironico e aggressivo: rimuovendo dai paesaggi quasi ogni traccia degli interventi umani, siano questi sul Plateau Rosa o nella piana stessa dove sorge Cervinia, ci viene consegnata una sorta di grado zero della situazione, che allude anche a nuove possibilità di trasformazione oltre che della memoria di una condizione del passato.
La presenza turistica viene mostrata da Michele Coppari in modo sferzante, addirittura accoppiandola ad un parallelo lavoro di ritratto realizzato nello stesso periodo sulle spiaggie italiane, quasi a dimostrare l'odierna intercambiabilità dei luoghi di svago per una platea turistica sempre più veloce e globalizzata, che spesso ha una percezione stravolta dei luoghi che visita.
Con grande sensibilità Giuseppe Fanizza si è mosso in Cervinia in luoghi spesso ambiguamente a cavallo tra l'essere interni ed esterni, e che testimoniano l'essenza urbana di Cervinia. Sono punti non esenti da inquietudini, quasi possibili location per gli eventi di un noir americano, sospesi e vuoti, in attesa.
Maria Aurelia Lattaruli si è occupata del fenomeno delle seconde case, esploso negli anni Sessanta e Settanta, oggi in profonda crisi, utilizzando dei frammenti di un campione rappresentativo: un appartamento nel quale ha individuato, con grande precisione e silenzio, le tracce di un'attitudine all'abitare la 'casa di vacanza' tipica di quegli anni.
Il lavoro di Giovanni Scotti rappresenta le parti nascoste di una attività cruciale per Cervinia, quello dei grandi impianti delle funivie. Scotti ci mostra quello che le migliaia di sciatori non possono vedere, ossia la tecnologia avanzata che controlla il funzionamento di questi impianti. E ce lo mostra in modo assolutamente iperrealistico, usando anch'egli una tecnologia moderna, quella del 3D, che paradossalmente si riallaccia però a tanta fotografia dell'Ottocento, che con la stereoscopia aveva contribuito proprio alla massificazione del linguaggio fotografico.
Giulia Ticozzi si è mossa, con due diversi lavori, su due piani profondamente diversi: l'uno, basato sulla delicatezza delle proprie sensazioni interiori, espone raffinate campiture cromatiche, che alludono alle sensazioni e alla matericità del paesaggio; l'altro, "Cervino mon amour", totalmente aperto all'esterno, utilizza il Web per formarsi autonomamente, quasi a prescindere dall'autore, che si limita a fornire le linee guida di un blog che invita tutti a inviare immagini 'trovate' della grande icona che sovrasta Cervinia - appunto, il Cervino.
I residenti di Cervinia, in particolare le donne, sono il soggetto del lavoro di Vanessa Vettorello, che con sensibilità e attenzione ha avvicinato alcune delle poche persone che risiedono stabilmente a Cervinia - non più di ottocento, a fronte di una popolazione di quasi ventimila persone nei momenti clou della stagione. Con curiosità sociologica ed evidente empatia Vettorello ci indica al tempo stesso un problema e la sua soluzione, perché spesso oggi sono proprio le donne a saperci indicare i punti cruciali dove si incrociano le permanenze e le evoluzioni, quei punti insomma dove si disegna il futuro.
ALP_AGE è una complessa esplorazione visiva che prende avvio da una riflessione sul territorio montano e sulla comunità della Valle d’Aosta, sviluppandosi in direzioni ulteriori e molteplici. ALP_AGE non è un percorso concluso, ma al contrario, iniziato lo scorso luglio dopo alcune indagini preliminari, si trova attualmente in una fase di precisazione, crescita e approfondimento.
Nell’allestimento, le fotografie di famiglia riferite al gruppo di persone incontrato sugli alpeggi sono mescolate fra loro e con le immagini familiari dello stesso Luigi Gariglio, riproducendo a parete la condizione di vicinanza e condivisione, realizzatasi per una parte di questo progetto fra il fotografo, divenuto osservatore partecipante, e i propri soggetti. Il pavimento della sala espositiva è coperto con uno strato di fieno, il cui odore introduce un ulteriore elemento sensoriale per l’immersione del pubblico nel contesto rappresentato. Questo intervento installativo, che si configura peraltro come un omaggio alla pratica artistica di Giuseppe Penone, fa sì che lo stesso respiro dello spettatore faccia parte della sua esperienza di quest’opera. Ad introduzione della mostra è posto un pannello di cui si riporta a seguire il testo integrale.
Il viaggio ha inizio con gli spazi costruiti dei tunnel stradali. Le fotografie della serie Tunnel offrono l’insolita possibilità di osservare con uno sguardo prolungato e contemplativo luoghi che al contrario costituiscono normalmente il contesto di veloci attraversamenti automobilistici. Così, attraverso un radicale mutamento della fruizione di queste gigantesche cavità artificiali, cambia la nostra percezione: i colori saturi dei neon e le forme sinuose delle gallerie danno vita a scenari infernali, scavati dentro la superficie della terra o nascosti nei più remoti recessi della nostra mente.
La serie Orridi, seconda sosta di questo percorso, testimonia il tormento di millenni di erosione inflitti alla roccia dall'incessante scorrere dell'acqua. L'etimologia stessa della parola del titolo, che deriva dal latino horridus e significa orribile, orrendo, spaventoso, selvaggio, rimanda allo sgomento che soltanto la natura, nella sua grandezza originaria, è in grado di trasmettere. Eppure l’uomo, nella sua incessante ossessione per il controllo e la conquista, è riuscito a domare anche questi abissi, fino a renderli facilmente praticabili. I ponti, le passerelle, le scalette di ferro divengono così metafora dell’umano tentativo di superare i propri limiti ed esorcizzare la propria paura.
Ultima tappa di questo lento viaggio nel profondo, le fotografie della serie Crepacci sono il frutto di un lungo lavoro sulle pendici del Monte Bianco. Il ghiaccio, soggetto unico delle immagini, sembra aprirsi di fronte al nostro sguardo e allo stesso tempo inghiottire fotografo e spettatore nel ventre di una materia dura e fredda, ma allo stesso tempo sensuale. La sua superficie è in continua trasformazione, prima trasparente, poi opaca e viceversa, e assume con la densità sfumature di azzurro e di blu, fino a riempirsi di nero nei punti più profondi o accendersi di un bianco accecante negli spiragli aperti verso l’alto. Come osserva Amelia Valtolina in Blu e Poesia, il blu è il “colore dell’unio mentalis alchemica, della congiunzione tra logos e psyché”. Nel blu sono compresi il nero del dolore e il bianco del pensiero puro. Allo stesso modo, di fronte a queste fotografie, il terrore che i crepacci suscitano per natura coesiste con il fascino esercitato da tanta grandiosa bellezza.